In questi giorni, ogni tanto riemergo dai volumi di letteratura greca. Di solito succede la sera. Ascolto un po’ di musica, con il portatile sulle gambe e le gambe sotto al piumino del letto. Fuori c’è un silenzio che credo ci sia solo qua. Ogni tanto penso faccia parte del panorama. Leggo poco. Ma tengo sul comodino Blues di Bay City e altri racconti di Chandler. Quando arrivo, saltando qua e là, a La donna nel lago, la telefonata di Violetta M’Gee al detective Dalmas mi porta dentro a una serie di fatti di cui – già poche pagine dopo – voglio assolutamente scoprire logica e finale.
C’è una donna nel lago, si capisce dal titolo, sì, ma non è solo questo. Dalmas si muove come un burattino. Le cose che scopre, le scopre secondo un disegno non suo, ma sicuramente non casuale. Chi sta guardando dall’alto? Chi muove le pedine?
Mi dimentico della collina, del silenzio, e siccome Chandler è un genio mi sembra di sentire – e distintamente – tutto quello che potrei sentire se fossi là, dentro la storia, nel corpo di Dalmas. Rumore di passi, a seconda che le scarpe calpestino foglie secche o marce. Un cuore che batte di paura, il respiro trattenuto per fare meno rumore, le pistole, le pallottole, gli spari.